Unvergessen!

Deciso a vincere l'inedia domenicale, nel primo pomeriggio mi son fatto coraggio ed ho preso a perlustrare la parte meridionale del mio quartiere, quella tagliata radialmente dalle ampie Prenzlauer Alee e Greifswalder Straße, sino al verde di Volkspark Friedrichshain, giardino sito nel quartiere che da esso stesso prende nome e che funge da confine ideale tra le queste due zone della città.

Diretto proprio verso tale parco, scorgo una piccola croce di pietra ergersi tra alcuni cespugli, ne riconosco la funzione tombale, e d'improvviso mi torna in mente il pensiero ch'ebbe mia madre quando fu per la prima volta al cospetto di un cimitero tedesco, così diverso da quelli nostrani: desiderò apertamente di poter riposare in un luogo simile quando sarebbe giunto il momento, lei per cui tale simbolo era già estremo debitore a causa di un matrimonio troppo spesso foriero di sofferenza. Cerco l'entrata, mi sincero l'ingresso sia lecito, ed al varcar la soglia abbandono le categorie dello spazio e del tempo.

Sono giorni che non fiocca e nelle vie della città adiacenti non v'è residuo di neve, mentre le tombe e le piante qui sono ancora abbondantemente imbiancate. Molte lapidi sono divelte, poste a terra parallelamente al terreno contrariamente alla naturale collocazione verticale che dovrebbero tenere: pare che qualcuno si sia accanito alla ricerca di un corpo particolare, o forse solo che il passare degli anni abbia permesso alla natura di vincere sull'uomo.

Vi sono piccoli mausolei familiari, molti di essi vuoti al proprio interno oppure murati da mattoni grezzi, con un foro per l'aerazione; vi sono tombe del diciottesimo secolo, completamente avvolte da rampicanti, mentre quasi tutti gli alberi sono al momento spogli perché caduchi; non vi è alcuna immagine dei defunti, solo nomi ed iscrizioni.

Del novero di queste ultime, mi colpisce una in particolare che recita semplicemente "Unvergessen!", che il mio rudimentale tedesco mi fa tradurre con indimenticato. Non avevo mai visto un punto esclamativo inscritto all'interno di un cimitero, e mai mi sarei sognato di trovarlo in un luogo tale, così diverso da tutti quelli già incontrati nella mia esistenza. I cimiteri sono luoghi splendidi ed equi, all'interno dei quali vige uniformità sia per i vivi che per i morti, proni al silenzio che dovremmo osservare e che invece violiamo per proferire di parole troppo spesso inutili o dannose.

Quale storia si potrà mai celare dietro quel carattere? Pur non avendone contati altri in tutto il camposanto magari qui è prassi comune, ma voglio immaginarlo come un grido ultimo di chi non ha voluto arrendersi ad una legge che considera ingiusta, quella di una natura cui se prestassimo maggiore ascolto, troveremmo forse meno ingrata. Se il nostro vivere fosse meno vacuo e mosso da obiettivi che fingiamo di sentire come nostri, non soffiremmo nel lasciare epitaffi grondanti dolore e lacerati infine da inconsuete ma pertinenti scelte tipografiche.

Giunge la notte, il fine distensivo del mio camminare si è ritirato zelante in favore di pensieri ben più esistenziali, che accompagneranno gravi il ritorno alla mia dimora: esco dal Georgenfriedhof, subito grattacieli alla mia destra.

Forse siamo già morti tutti, e non vogliamo ammetterlo.

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