2014: best albums I stumbled upon.

2014: best albums I stumbled upon.

Come ogni anno, i dischi di cui mi sono innamorato, o che mi hanno aiutato ad innamorarmi di qualcosa o qualcuno. In ordine sparso di gradimento, ecco a voi.


Curioso come sia arrivato così tardi ad esplorare la loro intera produzione, dopo essermi limitato per anni alla pur splendida Sunshine Smile: un disco più alternative-rock che altro, pieno di canzoni bellissime. Parlo della loro storia qui.


Il mio rapporto con il neofolk è sempre stato agrodolce: ne adoro i tratti più spontanei e gli artisti più genuini, ne disapprovo certe derive stolte ed il posing con cui alcuni interpreti condiscono la loro musica innocua e manierista. Qui, signori, siamo però al cospetto di una delle cose più belle mai partorita, un disco che contiene solo temi celestiali, su tutte quella Bloodstreamruns che diobono ti viene da piangere ogni volta.

Chef d'oeuvre.


Scrivere un disco pop senza brani deboli, e senza ricalcare pedissequamente i propri idoli, è molto difficile. Scriverlo quando essi sono nell'ordine i Cure, gli Smiths e i Joy Division beh, è pressoché impossibile. Invece queste cinque ragazzette canadesi hanno fatto proprio centrissimo, con il loro post-punk festaiolo condito da un Hammond. Impossibile toglierlo prima della fine, posso assicurare.


Nota (curiosa) sull'etichetta del disco:

NO KEYBOARDS WERE USED

Poco importa cosa abbia usato Jeremy Wrenn nello scrivere i quattro bellissimi EP di Airiel, qui raccolti assieme: probabilmente l'unico gruppo nu-gaze che possa rivaleggiare direttamente con i padri fondatori.


Ho già parlato recentemente di cosa penso di questo disco: la perfezione. Basti pensare che si parla di brani rigorosamente monotoni per costruzione, che sfiorano la ventina, e che risultano addirittura troppo corti. Lo spazio, inteso come entità complementare al tempo, fatto suono.


La prima volta che ascoltai musica prodotta da Wolfgang Voigt pensai "che rottura de cojoni", e la cestinai come ripetitiva e superficiale. Quando anni dopo tornai al suo disco forse più rappresentativo, esso riuscì a far finalmente breccia in me grazie alla sua proposta ripetitiva e superficiale.

Ascoltatelo quando viaggiate, quando camminate, quando fate altro: Pop costruisce cose attorno a voi, Pop si tocca, Pop sa essere sornione ed opprimente, fluttuante e rigido. Untitled 4 è ad oggi la mia sveglia, per dire.


Possibile che il post-rock riesca ancora a tangermi in qualche misura, dopo anni di sviscerazione? Evidentemente sì, quando ai chitarroni si affiancano gli organoni e i droni che ci aiutano a raggiungere la depressione e il suicidio con più calma. Disco totale, che si trascina inesorabile ma sicuro verso le mie preferenze di ogni epoca (e con lui il successivo Mi Media Naranja, che qui non cito per esigenze di spazio).


Un giorno succede che Justin Jones, il mandolin-chitarrita degli And Also the Trees, viene chiamato da un tizio svedese, e assieme tirano fuori un discone spaziale pregno di icore anninovanta, in bilico tra dub, ambient, new age, citazioni bibliche e di Huxley, nonché cover degli Art of Noise. Mirabile la voce di Antonia Reiner, che sinceramente non so chi sia, ma qui si è proprio garantita l'immortalité.

Ci ha proprio le tracce scritte in binario il disco, eh.


Ho già menzionato questo disco, e ribadisco quanto sia stato una sorpresa piacevolissima. Pieno di (potenziali) singoloni, apprendo con piacere che la cantante e chitarrista Britta Philips è la compagna di Dean Wareham dei Galaxie 500, mica katzee.


Non faccio mistero di come il dream-pop sia tra i miei generi preferiti in assoluto, specie quello ancora prodotto a cavallo tra la fine degli anni '80 e l'inizio del decennio successivo. Oltre ai mostri sacri ho avuto modo di esplorare territori meno noti come Area, The Moon Seven Times o All About Eve: in questa sede voglio citare Rosewater Elizabeth, tanto eccelsi quanto sconosciuti (se non per una cover di Morrissey, forse). Voce di una bellezza rara, lavoro alle chitarre di prima fattura, reperite di corsa.


Menziono anche gli estoni guardatori di piedi Bizarre, i fantastici punk-folkers valdostani Franti (poi Orsi Lucille), l'ultimo album dei Goldfrapp che è commovente in tutta la sua durata, tutti i dischi degli And Also the Trees che ho consumato, tutta la musica bella che finalmente posso ascoltare in vinile dopo tanti anni.

E tutta la gente che ho ascoltato live, su tutti gli Slowdive, che quest'anno ho visto più volte che mia madre.