I woke up and I had a big idea.

...to buy a new soul at the start of every year
I paid up and it cost me pretty dear
Here's a hymn to those that disappear.

Sarebbe bello, già. Perdere il ricordo, l'esperienza, la disillusione.

Quando il velo si lacera, Maya appare in tutto il suo severo splendore, e la coscienza del fallimento, la percezione dell'alienazione, il momento dello sconforto incombono con rigore tanateo; tra le metafore che più mi sono care, di certo vi è quella del Giardino incantato, che avrò già richiamato in passato, ma che nel dubbio non mi privo di riportare.

Vi era un mondo dove imperavano stoltezza e decadenza, ignominia e bruttezza; pochi avevano la coscienza del bello, meno ancora erano a conoscenza di dove si potesse trovare.

Gli esploratori sapevano. Il Giardino Immanente appariva lontano ma fulgido agli occhi di chiunque vi credesse. Esso aveva la proprietà di essere equidistante da ogni osservatore, e per quanto ognuno di essi potesse avvicinarsi, rimaneva indistinto e remoto.

Ma gli eletti sapevano che lì c'era il Bello, ed esso albergava nella Conoscenza: non la nozione tracotante dei burocrati sofisti, bensì la sapienza profonda degli uomini sensibili ed intelligenti. Senza sapere non c'è arte, senza sophrosyne non c'è inizio. Solo uno di loro, ere addietro, era riuscito ad aver visione concreta del luogo; non lasciò testimonianza scritta, ma potè raccontare la sua esperienza ai pochi che ancora lo reputavano sano ed avessero un cuore puro: bambini ed esploratori come lui.

"Foglie di alberi sconosciuti avvolgevano la radura centrale del Giardino: esse rilucevano di colori mai visti prima e seguivano il ciclo delle stagioni, crescendo e cadendo in terra; prima che la toccassero, esse diventavano piuma, poi farfalla, poi anora primula, ed infine bagliore che andava a raggiungere le fiamme che si levavano infinite al centro del cerchio ideale formato da tutti i fusti.

Ma non v'erano crepitio né rumore alcuno, ma eufonia sola; suoni poco distinti ad un ascolto disattento, che invece si disponevano rapidi in sequenze sublimi, tanto più estasianti quanto meglio si fondevano alle trame circostanti. E vista e udito non erano più sensi separati, ma un'unica virtuosa ascensione verso l'abbandono del corpo, per poi tuffarsi di nuovo in esso, uscirne diversi e tornare mutati ancora, nel tripudio dei suoni e delle cromie che mai nessuno avrebbe potuto percepire nell'intera esistenza.

Ogni tanto delle lingue si allontanavano dalla pira, e formavano figure inscritte nel cerchio della radura: ora triangolo, ora esagono, ora pentacolo: poi salivano alte nel cielo, e si univano in solidi platonici, e ancora in poliedri di dimensione sempre maggione, che nessuna mente umana sarebbe mai riuscita a proiettare con rigore.

E dopo ancora note, melodie mai scritte che illuminavano foglie politone, che sembravano ora violino ora arpa, ora cetra ora ottavino, ora celesta ora ocarina: e non finivano mai perché mai avevano avuto inizio, e mai stancavano perché la mente le sentiva amiche, le vedeva come l'emanazione di se stessa più intima che avesse mai incontrato."

Tale testimonianza, così viva e magica, si era progressivamente essiccata in allegoria popolare, ma dopo secoli ci sono ancora esploratori che vedono chiaro il Giardino, e vogliono inebriarsi di quelle musiche e di quei colori: io conservo gelosamente la mia bussola, ma il puntino luminoso è sempre dannatamente lontano. Lontano perché dentro di me, ed io lo cerco altrove, senza esito.

–Aspettami.

–Sì, ti aspetto.

–E' crudele essere nemici di se stessi.

–Ti capisco.

–Gnòthi seautòn.

–Anch'io voglio conoscerti.

–Ti amo.

–Narciso.

–Sta' tranquillo, nel Giardino non vi sono stagni.

–EallaIPi,PiùUno.

–UgualeZero.