Is this trip really necessary? Day 1

Giorno imprecisato di inizio settembre. L'estate si trascina pigra verso il proprio termine, campendo la tela che presto sarà adorna di colori autunnali.

Decido che il pesante periodo di esami dovrà culminare, a prescindere dai risultati, con un breve periodo di vacanza. Mi cade l'occhio sulle date della tournee spagnola di Wilson e soci, ed un "dieci ottobre" vicino al nome della capitale iberica mi strizzano l'occhio. Cazzo, anche Ryanair mi offre le proprie grazie per pochi spiccioli. Scrivo a mio cugino per chiedere ospitalità relativa a tale weekend - mi dice che non ci sono problemi.

Gli esami finiscono [bene], l'anno accademico riinizia [benino], arriva dunque il momento di partire - due vestiti, il mac da cui sto scrivendo e poco più mi accompagnano alla volta di Madrid e dei Porcupine Tree.

Il primo giorno inizia con sveglia poco mattutina - 10:30 in piedi, 11 fuori casa. Troppo tardi per assaporare i deliziosi churros delle caffetterie limitrofe. Nelle orecchie "Lightbulb Sun" dei PT. Decido di non usufruire di quel prodigio di topologia e tecnica che è il Metro di Madrid [ben conscio della fredda e caotica dicotomia Anagnina-Rebbibbia che mi attenderà al ritorno], per intraprendere una stoica camminata da Quevedo ad Atocha, passando per Calle San Bernardo, Gran Via, Sol, Cibeles, Paseo del Prado.

Ritrovo così le due facce di Madrid: la prima, quella apollinea delle avenide perpendicolari e delle loro velleità mitteleuropee - la seconda, quella dionisiaca delle viuzze e della gente indaffarata o rapita da un particolare.

Giunto nei pressi della stazione ferroviaria di Atocha, quale novello Filippide non stramazzo a terra dicendo "siamo vincitori", bensì mi adopero per procacciarmi del cibo; opto per il consolidato "El Brillante", panineria che si vanta di preparare il miglior panino di calamari di tutta Madrid. Ben cosciente del fatto che anche la più malfamata bettola della città oserà fregiarsi di tale onoreficenza, ordino la specialità della casa accompagnata da una birra. Mangerei volentieri seduto fuori, ma non posso perdermi il pittoresco spettacolo dei camerieri: il locale presenta due banconi, uno adibito al cibo e l'altro alle bevande - non appena ho chiesto il beveraggio, il tipo ha iniziato ad urlare "UNA CERVEZAAA!!1one!1" ai colleghi dirimpettai, i quali nel corso degli anni hanno sviluppato un complicato sistema di filtri passa-birra in grado di recepire ordinazioni nel più cacofonico dei frastuoni.

Dopo un decente numero di siparietti analoghi decido di sostare un po' di fronte al museo d'arte moderna Reina Sofia, che visito con piacere ogni volta che passo di qui. Stavolta penso di limitarmi ad osservare i succinti abiti delle studentesse di belle arti che transitano di lì, ma mentre sono a metà del Paseo del Prado alla volta di nuovo del centro, un gentile sms mi invita a visitare un'interessante mostra dell'edificio appena abbandonato; dietrofront, e dopo svariate imprecazioni nei confronti di chi mi ha fatto lasciare il libretto universitario a casa, entro nel museo a prezzo pieno. Sulle note di "Non al denaro, non all'amore né al cielo" del Maestro, visito rapidamente il quarto piano, di cui conosco a memoria collezione e sorveglianza oramai, e mi dirigo verso il padiglione delle mostre temporanee per visitare "Maquinas y Almas", esposizione di arte digitale e nuovi media. Chiedo subito dove sia il prof. Giovannella a giudicare dal nome, ma ricevo solo solerti occhiatacce. La mostra alterna perfette cazzate ad opere sinestetiche davvero interessanti - chicca finale un'installazione di nonsocchi e David Byrne - no, non c'è "Lazy" come sottofondo. Altro rapido omaggio a Mirò, Dalì e Picasso, con particolare riguardo alla sala di Guernica, toccante come ogni volta.

Un'occhiata al negozio del museo per sincerarmi che i prezzi siano come sempre fuori dal mondo, e poi di nuovo su per il Paseo del Prado, costeggiando l'eponimo museo e le paffute sculture di Botero. Entrerei a salutare Goya, ma i miei arti inferiori reclamano riposo. Potrei andare al Retiro ma opto per raggiungere la fermata metro più vicina e demolire i sogni di una Battistini ormai sicura che non l'avrei tradita per la collega spagnola.

Dopo sette fermate di passione, mentre gli Opeth sussurrano "Hope Leaves" rientro a casa, scrocco la rete per enne minuti e aiuto la ragazza di mio cugino con la carbonara. Stremato e tronfio di uova e pancetta opto per birretta di rappresentanza a due passi da casa con mio cugino, solite chiacchere hi-tech - "***** xxx quanto costano poco le ram ora", "che cazzo ci trovi di bello nel tuo mac", "non ci sono più le mezze stagioni" - rigorosamente in lingua iberica e poi nanna.

A domani per il day #2 ed il resoconto del concerto :)