De che squadra sei?

De che squadra sei?

Sì te, de che squadra sei? Perché è inconcepibile non professare fede sportiva alcuna, ciò implica coscienza melliflua e nessun interesse verso la propria città d’appartenenza.
Le goliardiche schermaglie da bar non sono ahimé troppo distanti dal fiume di accuse riversato contro gli astenuti circa la recente tornata elettorale. Accuse comprensibili, e lungi da me bollarle come superficiali od ottuse, lo sarei io a mia volta. Ne parliamo un’altra volta magari, ora c’è la Champions dionegro.

Ma amici, voglio esporvi la mia opinione a riguardo, visto che sono anch’io bersaglio delle vostre invettive, non essendomi recato alle urne.

Tu con gli occhiali grandi, la giacca a quadri e la Moleskine che trasuda bile a quadretti, mi chiedi “ora ti tieni sta stronza fascista [o altri insulti stereotipati, ndr], sei più felice?”.
No, ovvio che non sono soddisfatto dell’esito, nessuna persona di buon senso potrebbe esserlo; ma io credo che rimanere chiusi della dicotomia bipartitica sia la morte del progresso sociale, l’aridità fatta modello.

“Ma cosa ti costava intanto mettere una crocetta e fare la tua parte per salvarci dall’abominio cileno?”, sbraitano converse graffianti e made in China.
Probabilmente nulla, ma avrei avallato ulteriormente un sistema che è, se non causa, almeno potente catalizzatore della situazione peninsulare attuale.

Mai come ora la separazione tra popolo e potere è netta, secessa, mai come adesso il sornione e zelante abbraccio della propaganda vuole tener nascosta tale ulcera.
E’ oggettivamente troppo conveniente essere parlamentare, segretario, sindaco presidente di provincia o regione: si è sommersi di denaro e privilegi, e le responsabilità sono ahimé facili da schivare, almeno per gli esempi che godono di ribalta maggiore, e che paradossalmente dovrebbero pagare di più i propri errori perché esposti ad una platea profumatamente pagante più vasta.
Altro che anni di fango, qui siamo agli anni di plastica e silicone, di plusvalori e offshore. Ed io non voglio continuare a legittimare persone, a prescindere dal logo che figura innanzi al loro nome. Non nego esistano persone valide in questo mondo, ma in fondo qualche SS avrà aiutato una vecchietta ad attraversare la strada. Vecchietta ariana, ma son esigenze di copione.

“Preferisci quindi gli anni di piombo, la sudditanza CIA, Gladio, il terrore, Conrad, Apocalypse Now?”, puntualizzano dal dams.
Non si può preferire un periodo tout court, ammesso che non preceda un imminente orgasmo in ufficio. Ah, adoro l’espressione tout court, specie se usata tout court.

E’ saggio vivere il proprio presente, ed affinché questo avvenga è necessario essere liberi da sovrastrutture che ci limitino. Qual è la più inviolabile delle prigioni se non quella invisibile? Quella di cui non puoi sapere di esser controllato, quella in cui hai l’illusione di poter cambiare qualcosa, ma puoi solo sbattere contro i cristalli invisibili che la delimitano e dar la colpa alla tua accidia. La democrazia figurata, la remissione della responsabilità, la gioia della partecipazione fine a se stessa.
Pronti ad esultare per un cumulo di croci su un foglio, un tempo magari vicini ad un Ulivo: copiare l’iconografia della più grande industria di merchandising mondiale sembrava infallibile vecchie volpi eh? E invece col cazzo.

“Quindi sono tutti uguali, è tutto un magnamagna, non sei meno qualunquista di coloro che critichi.”, constata pertinentemente un eskimo.
Non certo giudico il valore e l’applicabilità delle mie affermazioni, ma mi permetto di fornir loro sostegno logico: non sono tutti uguali, ma sono tutti equivalenti, ed i fatti parlano chiaro. Siamo ancora in Iraq, sebbene si siano alternati governi che hanno fatto della presenza o dell’assenza in tale luogo un cardine delle loro promesse; ci sono singoli individui che hanno dei privilegi legislativi, anche se c’è stata occasione per revocarglieli; ci si lamenta dell’egemonia mediatica e politica di un imprenditore, ma le occasioni per fare il proprio dovere sono venute meno causa problemi interni al governo stesso, che ha posto così fine al proprio mandato anticipatamente percuotendosi le estremità inferiori con arnesi agricoli.

Non sta scritto da nessuna, fottutissima parte, che l’affermazione della mia coscienza di cittadino debba passare per la politica. E se è scritto, non lo condivido affatto.
Io compio i miei atti sostenuti dalle mie idee - lungi da me pensare che queste siano sempre brillanti ed illuminate, e le azioni che da esse conseguono siano utili ed efficaci, ma di sicuro non delego terzi che non ho mai visto né conosciuto per mettermi a posto la coscienza.
Che io rechi bene o danno al mio vicino non passa di certo dal colore del perizoma della Carfagna. Non che non brami di saperlo, ma questa è un’altra storia.

Non dico neanche che il modello attuale sia completamente sbagliato. O meglio lo dico, ma sicuramente la preterizione allontanerà parecchie obiezioni, e la parola “preterizione” mi solleverà da altrettante. Dico solo che la bontà di un modello decisionale ogni tanto va rivista e fatta propria. O almeno ci si faccia consigliare da Loacker.

“Ma così non cambierà mai niente!” dice un luogo comune a caso che non voglio sforzarmi ad individuare.
Beh mi spiace farvelo notare, ma le cose non cambiano mai. O meglio, le cose cambiano sempre, evolvendosi, e coerentemente con lo stato immediatamente precedente delle stesse. Nascere crescere morire, tesi antitesi sintesi, credere obbedire combattere, produci consuma crepa: la dialettica ha sempre messo d’accordo tutti, e da sempre regola il mondo, perché ne offre la metaspiegazione più aderente alla realtà; non ci dà cioè la spiegazione concreta a tutto, ma ci garantisce l’esistenza di essa, che ci verrà esposta durante una puntata di Voyager quando a Giacobbo gireranno le palle per il verso giusto.
Ritenetevi sufficientemente fortunati da poter leggere questo: avete un pc, un adsl, e siete nati nella stessa epoca del brillante autore che stuzzica le vostre coscienze - senza dover ricorrere a lesbiche minorenni, per giunta.

“Ma tutti uniti si possono vincere i mali di questo paese!” - ma se per non prendere due macchine lasceresti a casa tuo fratello, vuoi dirmi che credi nell’alleanza di uno sconosciuto di Ragusa, o nell’appoggio di un carneade trentino?

“Che fare?”, recita il titolo di un libro di Wilbur Smith. Che fare di un qualsiasi libro del medesimo è facile, quando finisce la diavolina. Cosa rispondere al quesito lo è altrettanto: prendete coscienza delle VOSTRE idee, e portatele avanti, possibilmente assieme ad un numero congruo di persone con le quali il margine di divergenza è controllabile, o almeno inferiore a quello di una qualsiasi coalizione di sinistra da Epaminonda in poi.

“Sì belle parole, diccelo tu un qualcosa ideato da pochi che ha avuto impatto sul mondo no!”, domanda una frase racchiusa da virgolette e terminante con un punto esclamativo.
Presto detto, Google. E non scherzo, due persone hanno il monopolio assoluto dei servizi web, e non ti chiedono una lira per fornirteli. Unica rogna, sanno che ti ecciti sui cerbiatti ermafroditi, ma non lo diranno ai trans che frequenti, tranquillo.
Datevi al web amici, è davvero l’unica realtà concreta in cui l’idea di pochi può arrivare a molti. Ve lo immaginate Garibaldi con un account Youtube all’epoca? Avremmo annesso anche il Lesotho. E soprattutto non esisterebbe Kataweb.

In sintesi, vorrei che il mio pensiero, che ricalca quello di kierkegaardiana memoria, riceva almeno la stessa dignità della Lecciso. Che è molto superiore a quella di cui gode Kierkegaard nel panorama odierno, mi duole ammetterlo.
La mia non scelta non è ignavia, è coscienza - del resto credo molti pochi di voi tifino per qualche compagine di cricket, ma nessuno vi ha mai detto “ecco bravi, ora vi tenete il Kent in vetta!”. O almeno lo spero.

Ah, anch’io al liceo sognavo, urlavo, sventolavo. Ed avrei detto fieramente tutti i virgolettati incontrati finora. Poi ho sviluppato il mio pensiero, che non sarà certo il massimo. Ma per fortuna neanche il d’alema.