Vestiti.

Vestiti.

Era una delle ultime volte in cui sarei tornato alla mia oramai ex-dimora, alla luce del trasloco che stavo affrontando proprio in quei giorni. La polverosa stazione di Boddinstraße, capolinea provvisorio di quella linea a causa di lavori di ristrutturazione, appariva come un cantiere fantasma, colmo di segni di lavoro - dal comune nastro rosso e bianco, alle assi di legno a coprire zone del pavimento - ed al contempo raramente teatro di effettive azioni lavorative.

Per quanto efficienti, i convogli della metropolitana vedono il proprio ritmo di servizio cadere drasticamente con l'arrivo della sera, e mi dirigevo quindi rapido verso il treno in partenza quando la mia attenzione viene colpita da un ragazzo seduto in compagnia del proprio cane; li avevo appena superati senza prestar loro troppa cura, ma poi lo sguardo languido dell'animale mi ha fornito esitazione sufficiente per non entrare nel vagone piú vicino.

Come pressoché ogni stazione di Berlino, anch'essa fungeva da alcova per persone che, per scelta o per sfortuna, non si potevano porre questioni come quella abitativa che stavo affrontando io in tale periodo: presto le giornate sarebbero diventate corte e algide e buie, e la sofferenza silente e profonda di chi una casa non ce l'ha sarebbero state soffocate dal livore e dalle lagne di chi il gelo vero l'ha visto soltanto al cinema.

Vuotai il borsello dalle fredde monete che conteneva, le strinsi nel pugno e le lasciai nel tegame che ci separava. Feci una carezza al cane, ne chiesi il nome, lo scordai immediatamente purtroppo. Lo guardai e gli strinsi una zampa anteriore, e mi guardó felice; scorsi una gioia affine negli occhi del ragazzo, e chiesi come si chiamasse, scusandomi per la maleducazione. Ci presentammo, e con il mio essenziale tedesco dissi cosa facevo lì, quanti anni avessi, e gli parlai dei gatti che mi aspettavano a Roma.

Mi chiese di che colori fossero, io glieli descrisi rapidamente. Lui rispose che il suo compagno era invero una cagnetta di cinque anni - ein Mädchen!, e che andava d'accordo con i felini; si accese una pipa, e commentó ridendo che purtroppo c'era solo tabacco al suo interno, anelando ad aromi piú intensi ed efficaci. Le nostre etá erano vicine nella misura in cui lontane erano le nostre vite: li salutai calorosamente entrambi, e mentre mi dirigevo finalmente verso la metropolitana appena arrivata, mi giungeva l'eco del suo prolungato commiato.

Perché dobbiamo essere spogli di tutto per poterci avvicinare a qualcuno? Perché se avessi salutato e chiesto il nome ad una qualsiasi altra persona questo sarebbe risultato con tutta probabilitá un gesto stravagante o addirittura prevaricatore?

Abbiamo solo paura dell'altro o siamo giá esseri postsociali, troppo preoccupati di zittire la nostra coscienza? E non intendo la coscienza comune, quella che porta ad empatizzare su vasta scala, mi riferisco proprio alla voce che alimenta l'esistenza in se stessa, che si pone a collante tra lo spazio, il tempo, le categorie e l'ineffabile percezione che un individuo puó avere di sé.

Sarei sato stolto ad aver visto la mia mera donazione come un atto d'altruismo: cosa saranno mai potuti essere i miei spiccioli, pur sufficienti a garantire un pasto, a cospetto di una necessitá così grande? Lo vidi come un modo di spogliarmi del mio peso sociale a mia volta, una maniera per guadagnare quel minimo di intimitá necessaria a potermi chinare e chieder lui circa le sue spille e le sue toppe, tra le quali figurava quella lettera di cui in maniera così accesa ed acuta avevano teorizzato Proudhon e Bakunin ai tempi, e che in giovinezza avevo individuato come ideale da seguire.

Coltivavo sempre timida in me la speranza di poterlo reincontrare prima o poi, e di scorgere negli occhi suoi o della sua compagna il caldo segno del riconoscimento, e di potergli finalmente chiedere di piú della sua vita, titanica, al cospetto della quale la mia pare solo del tempo trascinato a fatica verso una fine quasi agognata.

Non so se avró mai coraggio di spogliarmi del tutto, so solo che questi vestiti sono stretti, sgraziati, e pieni di ansia e dolore.